“Tutte le sostanze sono veleni; non ve ne è alcuna che non sia un veleno. È la giusta dose che differenzia un veleno da un farmaco” – Paracelso
Le reazioni avverse a farmaco (RAF) rappresentano un complesso di manifestazioni cliniche che si verificano in seguito alla somministrazione di farmaci, complicando notevolmente la gestione ottimale del paziente. Si stima che il 5 % degli accessi in strutture ospedaliere sia da correlare agli effetti nocivi di un trattamento. L’importanza socio-sanitaria del fenomeno è confermata dalla presenza di una Rete Nazionale di farmacovigilanza e dalla possibilità di segnalazione per i cittadini, oltre che per gli operatori sanitari, di un sospetto evento avverso farmaco-correlato.
Secondo una recente definizione dell’OMS le reazioni avverse a farmaco sono definite come ‘Effetto nocivo e non voluto conseguente all’uso di un medicinale’; con tale definizione sono contemplate anche le reazioni in cui l’esposizione al farmaco deriva da errore terapeutico, abuso, misuso, uso off label e sovradosaggio, oltre alla somministrazione secondo corretta indicazione.
La classificazione di maggiore utilizzo nella pratica clinica è stata proposta da Rawlin e Thompson, e differenzia le RAF in:
A (augmented) – dose-dipendenti, legate al meccanismo d’azione del farmaco; sono pertanto prevedibili e gestibili con la riduzione del dosaggio o la sospensione del farmaco. L’esempio classico è rappresentato dall’effetto di sedazione degli antistaminici di vecchia generazione (cetirizina)
B (bizzarre) – dose-indipendenti (relativa!) e imprevedibili; sono causate da meccanismi immunologici e idiosincrasici. Sono definite di ipersensibilità perché si manifestano in un gruppo predisposto della popolazione generale, e si caratterizzano per l’imprevedibilità e per la gravità delle manifestazioni. L’interruzione del trattamento deve essere sempre associata alla sospensione anche futura della somministrazione.
Questa classificazione è stata successivamente implementata (da Aronson e Edwards) e in aggiunta sono state inserite le reazioni di tipo:
C (chronic) – croniche, dose e tempo dipendenti. Sono legate alla somministrazione del farmaco per periodi prolungati, causate spesso da fenomeni di accumulo del farmaco stesso. Esempio è l’inibizione dell’asse ipotolamo-ipofisi-surrene da cortisonici
D (delayed) – ritardate, solitamente dose-dipendenti; si manifestano anni dopo la sospensione del trattamento. Sono dipendenti dall’azione teratogena (focomelia in neonati da madri che avevano assunto talidomide) o carcinogenetica del farmaco (tumore dell’endometrio secondario ad assunzione di estrogeni)
E (end of use) – legata alla sospensione del trattamento. Esempi classici sono costituiti dall’astinenza da oppiacei, o all’insonnia per l’interruzione della somministrazione di benzodiazepine
F (failure) – è definite come il fallimento del trattamento in atto, e può essere causata dall’interazione farmacologica con trattamenti concomitanti.
Al fine di inquadrare il meccanismo alla base della reazione avversa il medico dovrà valutare attentamente il quadro clinico e orientare la raccolta anamnestica verso tre parametri fondamentali: la dose-dipendenza, il tempo di insorgenza della reazione, e la predisposizione individuale, con valutazione di età, sesso, cambiamenti fisiologici (gravidanza) e patologie concomitanti (in particolare a livello epatico e renale, organi responsabili, rispettivamente, del metabolismo e dell’eliminazione dei farmaci).
Fondamentale è chiarire anche la possibile interazione tra farmaci in corso di trattamento con più medicamenti: è noto, ad esempio, che alcuni farmaci possono accelerare o rallentare i processi metabolici a livello epatico, determinando una riduzione o un aumento dell’azione farmacologica di un secondo composto somministrato contemporaneamente. Effetti simili possono essere indotti anche da prodotti omeopatici (Erba di San Giovanni) o alimenti (succo di pompelmo)