L’ alimentazione è un argomento di particolare attualità e suscita sempre un vivo interesse nella persone, come si può facilmente intuire dal dibattito costante presente soprattutto sui social; del resto, lo stile alimentare è stato riconosciuto dalla comunità scientifica come elemento essenziale per la prevenzione di patologie cardiovascolari, dismetaboliche, tumorali e infiammatorie. Ed è proprio l’estrema risonanza mediatica della tematica che facilita la diffusione di messaggi talvolta fuorvianti, non comprovati da evidenze scientifiche e che inducono all’acquisizione di abitudini alimentari errate.
Anche in relazione alla tematica delle ‘Reazioni avverse ad alimenti’ traspare una certa confusione, spesso originata dall’uso improprio della terminologia impiegata per definire gli episodi di ipersensibilità agli alimenti (basti pensare all’abuso dei termini allergia e intolleranza alimentari); ne deriva un approccio diagnostico e terapeutico non appropriato con conseguenze negative sulla salute dell’individuo. Negli ultimi anni la comunità scientifica ha cercato di fare chiarezza sul tema partendo dall’acquisizione di una nomenclatura comune e da una classificazione univoca: in primo luogo si è definito il concetto di reazione avversa a un alimento, inteso come ogni manifestazione indesiderata e imprevista conseguente all’ingestione dell’alimento.
Nell’ambito delle reazioni avverse agli alimenti si classificano :
1 – reazioni ‘tossiche’, causate dalla contaminazione batterica o dalla presenza di tossine all’interno dell’alimento.
2 – reazioni da ipersensibilità -caratterizzate da una abnorme risposta individuale nei confronti dell’alimento. A loro volta esse sono distinte in :
2a) reazioni immunomediate, in cui la disregolazione del sistema immunitario è responsabile dello specifico quadro clinico (ad esempio, allergia alimentare e malattia celiachia)
2b) reazioni non immunomediate – definibili anche come intolleranze, e causate da deficit di enzimi deputati alla digestione e assorbimento dell’alimento (es. intolleranza al lattosio da deficit di lattasi) o da proprietà farmacologiche dell’alimento (caffeina, alimenti ricchi di istamina o istamino-liberatori)
Per allergie alimentari si intendono le reazioni avverse ad alimenti sostenute dalla presenza di anticorpi della classe IgE, anche se spesso tale definizione è inclusiva di altre forme di ipersensibilità su base immununomediata (ad esempio reazioni cellulo-mediate); l’esordio dei sintomi è in relazione al meccanismo immunologico sottostante e varia da manifestazioni acute a rapida insorgenza (entro le due ore dall’ingestione dell’alimento) in presenza di IgE, a forme ad andamento cronico e con esordio tardivo se la reazione è cellulo-mediata. Per approfondimenti sulle allergie alimentari si rimanda all’apposita sezione.
La celiachia è una condizione morbosa infiammatoria che si sviluppa in soggetti geneticamente predisposti in seguito all’ingestione di alcuni cereali. E’ causata da un’ipersensibilità immunomediata nei confronti del glutine, complesso proteico presente nelle piante del genere Triticum (grano e farro), che per l’alta omologia di sequenza è assimilato a componenti proteiche simili di altri cereali (orzo, segale). Il ruolo dell’avena nel morbo celiaco è ancora oggetto di studi e ricerche. I segni e sintomi sono eterogenei ed è frequente il riscontro di dolori e crampi addominali, diarrea, malassorbimento, dimagrimento, anemia, stanchezza cronica, ipertransaminasemia isolata, deficit di crescita nei pazienti in età pediatrica. Talvolta si presenta con stipsi. La dermatite erpetiforme di Duhring è la manifestazione cutanea del morbo celiaco e si caratterizza per un rash maculo-papulare intensamente pruriginoso; casi di orticaria ricorrente sono stati descritti. Nei celiaci si registra, inoltre, una maggiore insorgenza di malattie autoimmuni (in particolare tiroidite).
La diagnosi si basa sul riscontro sierologico di anticorpi diretti (solitamente di classe IgA) verso autoantigeni (anticorpi antitransglutaminasi, antiendomisio, antigliadina deaminata ). L’esofagogastroduodenoscopia evidenzia specifiche alterazioni, sia macroscopiche che istologiche (atrofia dei villi, ipertrofia delle cripte e incremento dei linfociti intraepiteliali): tale esame è sempre indicato nell’adulto, mentre può non essere eseguito nel paziente pediatrico, che in presenza di un sospetto clinico e di un riscontro di laboratorio, va incontro alla remissione dopo dieta aglutinata. In alcuni casi può essere di ausilio l’indagine genetica poiché l’assenza di HLA DQ2 e HLA DQ8 (geni coinvolti nella fase di presentazione dell’antigene alle cellule immunitarie) rende improbabile la diagnosi.
Il trattamento risolutivo per i celiaci è l’attuazione di un’attenta e scrupolosa dieta priva degli alimenti contenenti glutine, in grado di favorire la risoluzione degli aspetti clinici, laboratoristici e istologici; sono permessi cereali privi di glutine, come mais, riso e miglio, oltre quelli che sono identificati come pseudocereali (quinoa, grano saraceno, manioca).
Tra i disturbi causati dalla dieta con grano è spesso inclusa la gluten sensitivity (NCGS), intesa come una condizione caratterizzata da sintomi (quindi quasi sempre soggettivi) intestinali ed extraintestinali, correlati all’ingestione di alimenti con glutine; l’esistenza della sindrome è oggetto di discussione nella comunità scientifica e anche la risoluzione del quadro conseguente alla dieta aglutinata potrebbe dipendere dall’effetto nocebo – nella fase critica – e placebo – nella successiva fase di risoluzione – proprio della dieta. In corso di accertamento diagnostico è essenziale escludere con gli opportuni test sia la celiaca che l’allergia al frumento, prima che il paziente proceda, spesso in maniera autonoma, con l’eliminazione del glutine dalla dieta. Test di eliminazione e reintroduzione sono essenziali per la conferma della NCGS.
L’intolleranza al lattosio è di frequente riscontro nella pratica clinica e si presenta con segni e sintomi intestinali (dolori addominali, borborigmi, flautolenza, scariche diarroiche) che insorgono entro due ore dall’ingestione di alimenti contenenti lattosio. Alla base dell’intolleranza al lattosio vi è il deficit dell’enzima lattasi, fisiologicamente implicato nella digestione del lattosio (principale zucchero del latte materno, vaccino, di capra e di asina) in zuccheri più semplici (glucosio e galattosio) che sono poi assorbiti a livello della mucosa intestinale.
Il deficit di lattasi può essere primario (in presenza di un difetto genetico nella sintesi della lattasi) o secondario, acquisito nel corso di patologie infiammatorie e infettive intestinali. La diagnosi si basa sul lattosio breath test, indispensabile per accertare il deficit enzimatico e sul test genetico, attraverso cui è possibile discriminare le forme primarie, in cui è presente la mutazione del gene codificante per la lattasi, da quelle secondarie